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RIFIUTI URBANI

Classificazione dei rifiuti: la nuova normativa su gestione e tracciabilità Del

Rifiuto

Classificazione dei rifiuti: la nuova normativa su gestione e tracciabilità

materiale non voluto e/o non utilizzato

Classificazione dei rifiuti: la nuova normativa su gestione e tracciabilità

Ulteriori informazioni

rifiuti sono materiali di scarto o avanzo di svariate attività umane. Esempi tipici ne sono i rifiuti solidi urbani, le acque reflue(contenenti rifiuti corporei), il deflusso superficiale della pioggia in idrologia e in particolar modo nei sistemi di drenaggio urbano, i rifiuti radioattivi e altri.

La classificazione dei rifiuti è, dunque, un passaggio indispensabile e fondamentale i cui effetti si ripercuotono su tutte le fasi successive della gestione dei rifiuti, ivi compresi gli adempimenti amministrativi che devono essere espletati in tema di contabilità e tracciabilità dei rifiuti

Il primo passo da compiere per una corretta gestione dei rifiuti è rappresentato dalla loro esatta classificazione, incasellando il rifiuto nella categoria dei rifiuti urbani o in quella dei rifiuti speciali, onere che incombe in capo al produttore dei rifiuti e dal cui esito discende la loro gestione secondo modalità che ne comportano il trattamento o lo smaltimento in determinati impianti piuttosto che in altri, con costi differenti a seconda delle differenti destinazioni: si pensi che il caso più frequente di gestione illecita dei rifiuti è costituito proprio dal classificare artatamente una sostanza, attribuendole una codifica non corretta, che, alla fine, porti a individuare, ad esempio, un rifiuto come speciale “non pericoloso” laddove lo stesso sia, invece, pericoloso. La classificazione dei rifiuti è, dunque, un passaggio indispensabile e fondamentale i cui effetti si ripercuotono su tutte le fasi successive della gestione dei rifiuti, ivi compresi gli adempimenti amministrativi che devono essere espletati in tema di contabilità e tracciabilità dei rifiuti (registri di carico/scarico, formulari, MUD e SISTRI).

Sotto tale profilo, la classificazione dei rifiuti (urbani o speciali, e poi pericolosi o non pericolosi) dipende innanzitutto da come i rifiuti vengono individuati e descritti tramite gli appositi codici dell’Elenco europeo dei rifiuti (Eer): l’attribuzione del codice è anche presupposto e condizione per la classificazione. Per assegnare ad un rifiuto il corretto codice (il c.d. CER), il produttore del rifiuto deve rispettare la procedura descritta a livello comunitario dalla Dec. n. 2000/532/CE e individuare rifiuto e corrispondente CER nell’elenco riportato nell’Allegato a tale Decisione, a sua volta riportato dall’Allegato D alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006: dopo le modifiche apportate dalla Dec. n. 2014/955/UE, appare consigliabile fare direttamente riferimento alla versione consolidata della Dec. n. 2000/532/CE, come si dirà tra poco. Orbene, il TUA, come in precedenza il “decreto Ronchi”, dedica una norma apposita alla classificazione dei rifiuti, norma che ha subito dei “ritocchi” rispetto alla versione originaria del 2006, sia da parte del D.Lgs. n. 4/2008, sia da parte del D.Lgs. n. 205/2010 (che, in particolare, ha introdotto delle rilevanti precisazioni in materia di rifiuti pericolosi). Si tratta dell’art. 184 del D.Lgs. n. 152/2006 il quale classifica i rifiuti:

  • secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e,
  • secondo le caratteristiche dericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi.

Sia i rifiuti urbani (a parte quelli domestici), sia i rifiuti speciali possono essere qualificati pericolosi o meno.

Si rileva che – oltre che a tali rifiuti – il D.Lgs. n. 152/2006 si applica anche ai rifiuti da imballaggi. Secondo la definizione contenuta nell’art. 184 del D.lgs. 152/2006, semplificando:

  • sono rifiuti urbani, per esempio, quelli provenienti da civili abitazioni, da spazzamento delle strade o pulizia di aree verdi (art. 184, c. 2);
  • sono rifiuti speciali, invece, quelli provenienti da attività industriali, agricole, artigianali, commerciali e di servizi (art. 184, c. 3).
RIFIUTI
(D. Lgs. N. 152/2006)
PericolosiNon pericolosiPericolosiNon pericolosi
Urbani (art. 184, c. 2)Speciali (art. 184, c. 3)
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 c.c. (si tratta delle attività dell’imprenditore agricolo, e cioè coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse);
b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lett. a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’art. 198, c. 2, lett. g);b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’art. 184-bis in materia di sottoprodotti;
c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;c) i rifiuti da lavorazioni industriali
d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;e) i rifiuti da attività commerciali;
f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lett. b), c) ed e).f) i rifiuti da attività di servizio;
g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie.

Le due macrocategorie sono 


g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie.

Le due macrocategorie sono composte da attività che, come si può vedere dallo schema riportato, la norma ha elencato con precisione: appare, pertanto, abbastanza semplice verificare a quale delle due un rifiuto appartenga, laddove l’operazione da compiere consiste meramente nell’individuare il campo di attività che lo ha originato.

D’altro canto, la distinzione tra rifiuti urbani e speciali riveste un’effettiva rilevanza pratica rispetto ai seguenti profili:

  • regimi abilitativi e autorizzatori;
  • obblighi di comunicazione annuale e di registrazione;
  • individuazione del soggetto al quale spetta di provvedere al loro smaltimento.
  • § In particolare, il produttore dovrà provvedere all’autosmaltimento dei (propri) rifiuti speciali o dovrà conferirli al servizio pubblico di raccolta previa convenzione, o ancora conferirli a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento.

Rifiuti “urbani per assimilazione” e rifiuti speciali assimilabili agli urbani

Rifiuti assimilati agli urbani: come abbiamo visto, appartengono alla classe dei rifiuti urbani anche i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di civile abitazione, laddove assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità tramite i regolamenti comunali (o meglio, rifiuti urbani per assimilazione, ai sensi dell’art. 184, c. 2, lett. b)).

L’art. 195, c. 2, lett. e) demanda ad un decreto – ad oggi non ancora emanato – la definizione dei criteri (qualitativi e quali-quantitativi) per l’assimilabilità, ai fini della raccolta e dello smaltimento, ai rifiuti urbani, sulla cui base i Comuni dovrebbero individuare in concreto quali rifiuti non domestici (di provenienza agricola, industriale, artigianale, commerciale e di servizi) siano assimilati agli urbani.

Riassumendo, “l’assimilazione” viene eventualmente deliberata dal Comune, con un apposito regolamento comunale, sulla base dei criteri quantitativi e quali-quantitativi stabiliti a livello statale con un apposito D.M. Nelle more dell’emanazione di tale decreto, secondo quanto stabilito dall’art. 1, c. 184, della “finanziaria 2007” (Legge 27 dicembre 2006, n. 296) “continuano ad applicarsi le disposizioni degli artt. 18, c. 2, lett. d), e 57, c. 1, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”, articoli che rimandavano, a loro volta, ad un D.M. ad hoc (art. 18 del D.Lgs. n. 22/1997), anch’esso mai emanato, e, nelle more, all’applicazione delle previgenti disposizioni in materia (art. 57, D.Lgs. n. 22/1997). Pertanto, i criteri a cui devono fare riferimento i Comuni – ancora oggi – sono da rintracciare nell’ambito del D.P.R. n. 915/1982 e nelle sue norme di attuazione (tra queste, il riferimento principale è costituito dalla Delibera del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 253 del 13 settembre 1984). Come vedremo meglio più avanti, per il loro smaltimento è dovuto il pagamento della “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (art. 238, D.Lgs. n. 152/2006), ad oggi rappresentata dalla nuova tassa sui rifiuti (TARI) istituita dalla “Legge di stabilità 2014” (Legge n. 147/2013, c. 641-668).

Rifiuti “speciali assimilabili agli urbani”: si ritiene che accanto alla sopra descritta categoria dei “rifiuti assimilati agli urbani” (ex art. 184, c. 2, lett. b)) ve ne sia un’altra, quella dei “rifiuti assimilabili agli urbani” intermedia tra quella dei rifiuti urbani e quella dei rifiuti speciali, che comprende, per l’appunto, rifiuti speciali con caratteristiche quali-quantitative simili agli urbani, che hanno, però, una provenienza differente e che possono divenire urbani soltanto se vengono assimilati a questi dal Comune, con apposita delibera. Sono, quindi, urbani solo “in potenza” e, rimanendo “speciali”, possono per scelta del loro produttore o detentore essere conferiti al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con il quale sia stata stipulata apposita convenzione [“cancellato” il riferimento di cui al previgente art. 188, c. 2, lett. c), tale interpretazione può ora “appoggiarsi” all’art. 188, c. 3, lett. a)]. Per il loro smaltimento non sarebbe dovuto il pagamento della tariffa, dato che il corrispettivo viene stabilito tra le parti (gestore del servizio e utente) in sede di stipula della convenzione. Né i rifiuti speciali assimilati né quelli assimilabili agli urbani possono essere pericolosi. Un’ulteriore distinzione, di tipo sistematico, viene operata in seno ai rifiuti urbani tra i “rifiuti domestici” e “rifiuti non domestici”.

I “rifiuti domestici” di cui all’art. 184, c. 2, lett. 2), D.Lgs. n. 152/2006:

  • sono i rifiuti urbani “anche ingombranti” che provengono da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione,
  • non sono mai pericolosi.

I “rifiuti non domestici”:

  • sono tutti gli altri rifiuti urbani che non provengono da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione,
  • possono essere classificati, nell’eventualità, come rifiuti pericolosi dato che essi ricadono nel regime che viene individuato, caso per caso, in base alle caratteristiche di eventuale pericolo che essi hanno in concreto.

Una volta qualificato il rifiuto come urbano o speciale, il passo successivo è rappresentato dal verificare se questo rifiuto sia pericoloso o meno.

Tale distinguo ha effetti pratici sui seguenti aspetti:

  • regimi autorizzatori e abilitativi;
  • obblighi di registrazione e comunicazione annuale;
  • divieto di miscelazione;
  • sanzioni.

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L’Elenco europeo dei rifiuti e i codici CER

Lo strumento da utilizzare in proposito, come detto, è costituito dall’Elenco europeo dei rifiuti (Eer), di cui alla Dec. n. 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (in vigore dal 1º gennaio 2002), come modificata dalla Dec. n. 2001/118/CE e dalla Dec. n. 2014/955/UE. Tale elenco – generalmente conosciuto come “nuovo CER (catalogo europeo dei rifiuti)” – è stato riportato nell’Allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006, secondo la trasposizione operata dalla direttiva Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio 9 aprile 2002. Si tratta, quindi, di un elenco “armonizzato” – passibile di essere periodicamente rivisto e se necessario modificato – che recepisce i due elenchi originari. 

L’Allegato D, dopo essere stato sostituito dalla riforma del 2010 (dall’art. 39, c. 5, D.Lgs. n. 205/2010), è stato modificato dal “Decreto Competitività”, e segnatamente, dall’art. 13, c. 5, lett. b-bis), D.L. n. 91/2014 (conv., con modif., dalla Legge n. 116/2014), in vigore dal 21 agosto 2014, che ha inserito una sorta di premessa dell’Allegato D costituita da un paragrafo intitolato, per l’appunto, “classificazione dei rifiuti”, composto da 7 punti in cui vengono indicate le modalità per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso (tali disposizioni sono entrate in vigore il 18 febbraio 2015 ma chi scrive ritiene che attualmente solo i punti 1 e 7 del paragrafo “classificazione dei rifiuti” siano ancora applicabili a seguito del mutato quadro normativo).

Al “decreto competitività” ha fatto seguito l’entrata in vigore di due provvedimenti comunitari, che in realtà erano stati pubblicati nella GUUE già prima, e quindi il legislatore italiano già era a conoscenza del fatto che gli stessi sarebbero divenuti direttamente applicabili in tutti i loro elementi negli Stati membri a partire dal 1° giugno 2015. Si tratta de:

  • § la Dec. n. 2014/955/Ue del 18 dicembre 2014, la quale, come accennato, ha modificato la Dec. n. 2000/532/CE e ha introdotto il nuovo Elenco europeo dei rifiuti (Eer);
  • § il Reg. (Ue) n. 1357/2014 del 18 dicembre 2014, che ha sostituito l’Allegato III alla Dir. n. 2008/98/Ce sui rifiuti e ha modificato le regole per l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti (HP – hazardous property).

Il Ministero dell’Ambiente ha diramato, in proposito, due note – la seconda (Prot. n. 11845 del 28 settembre 2015) a correzione e integrale sostituzione della prima (Prot. n. 11719 del 25 settembre 2015) –, le quali, in sintesi hanno chiarito che:

  • § le disposizioni della Dec. n. 2014/955/Ue e del Reg. (Ue) n. 1357/2014 trovano piena e integrale applicazione nel nostro ordinamento giuridico e, di conseguenza, dal 1° giugno 2015, gli Allegati D ed I alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, non sono più applicabili, laddove risultino in contrasto con tali provvedimenti comunitari;
  • § l’Allegato I, dal 1° giugno 2015 deve intendersi interamente disapplicato perché contiene disposizioni non conformi al Reg. (Ue) n. 1357/2014;
  • § rimangono efficaci soltanto i punti 6 e 7 della “Introduzione” dell’Allegato D (che recepiscono l’art. 7, c. 2 e 3, Dir. n. 2008/98/CE, disposizione ancora vigente e non modificata a livello Ue).

Altresì, lo scrivente, reputa che della “classificazione dei rifiuti” dell’Allegato D (paragrafo introdotto, come detto, dal D.L. n. 91/2014 “competitività”) rimangano efficaci i soli punti 1 e 7, in quanto non in contrasto con le nuove regole comunitarie.

Ancora, con riferimento alle “caratteristiche di pericolo per i rifiuti” – che sono oggetto precipuo dell’Allegato I alla Parte IV, D.Lgs. n. 152/2006 – l’art. 7, c. 9-ter, D.L. n. 19 giugno 2015, n. 78 (c.d. decreto “Enti locali”, conv. dalla Legge 6 agosto 2015, n. 125) ha introdotto una disposizione transitoria per l’attribuzione ai rifiuti della caratteristica di pericolo HP14 “ecotossico” (rifiuti che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali) nelle more dell’adozione, da parte della Commissione europea, di specifici criteri per l’attribuzione ai rifiuti di tale caratteristica, stabilendo che “Allo scopo di favorire la corretta gestione dei Centri di raccolta comunale per il conferimento dei rifiuti presso gli impianti di destino, nonché per l’idonea classificazione dei rifiuti […],” tale caratteristica venga attribuita secondo le modalità dell’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale delle merci pericolose su strada (ADR) per la classe 9 – M6 e M7”: orbene, tale modalità di attribuzione della caratteristica HP 14 appare in contrasto con il Reg. (Ue) 1357/2014, che è un provvedimento a portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi, e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, e non derogabile da una norma del legislatore nazionale (seppur transitoria).

Nel box seguente, dato che il legislatore italiano non ha operato un coordinamento normativo, riportiamo le norme dell’Allegato D alla Parte Quarta del TUA che riteniamo ancora applicabili (per quanto sopra illustrato), nonché la prima parte della Dec. n. 2000/532/CE, nella versione vigente.

Classificazione ed elenco dei rifiutiDisposizioni introdotte nell’Allegato D dal D.L. n. 91/2014 “competitività”, in vigore dal 21 agosto 2014, che si reputano ancora applicabili pur dopo l’introduzione delle nuove norme Ue:Allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006               (Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000)
CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE.7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione.
INTRODUZIONE6. Uno Stato membro può considerare come pericolosi i rifiuti che, pur non figurando come tali nell’elenco dei rifiuti, presentano una o più caratteristiche fra quelle elencate nell’Allegato III. Lo Stato membro notifica senza indugio tali casi alla Commissione. Esso li iscrive nella relazione di cui all’art. 37, paragrafo 1, fornendole tutte le informazioni pertinenti. Alla luce delle notifiche ricevute, l’elenco è riesaminato per deciderne l’eventuale adeguamento.7. Uno Stato membro può considerare come non pericoloso uno specifico rifiuto che nell’elenco è indicato come pericoloso se dispone di prove che dimostrano che esso non possiede nessuna delle caratteristiche elencate nell’Allegato III. Lo Stato membro notifica senza indugio tali casi alla Commissione fornendole tutte le prove necessarie. Alla luce delle notifiche ricevute, l’elenco è riesaminato per deciderne l’eventuale adeguamento.Decisione della Commissione del 3 maggio 2000 (2000/532/CE)Modificata da:– Decisione della Commissione del 16 gennaio 2001 (2001/118/CE)– Decisione della Commissione del 22 gennaio 2001 (2001/119/CE)– Decisione del Consiglio del 23 luglio 2001 (2001/573/CE)– Decisione della Commissione del 18 dicembre 2014 (2014/955/UE)[Omissis]ALLEGATOELENCO DI RIFIUTI DI CUI ALL’ART. 7 DELLA DIRETTIVA 2008/98/CE
DEFINIZIONIAi fini del presente allegato, si intende per:1. «sostanza pericolosa», una sostanza classificata come pericolosa in quanto conforme ai criteri di cui alle parti da 2 a 5 dell’Allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008;2. «metallo pesante», qualunque composto di antimonio, arsenico, cadmio, cromo (VI), rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche nella misura in cui questi sono classificate come pericolose;3. «policlorodifenili e policlorotrifenili» (PCB), i PCB, conformemente alla definizione di cui all’art. 2, lett. a), della Dir. n. 96/59/CE del Consiglio;4. «metalli di transizione», uno dei metalli seguenti: qualsiasi composto di scandio vanadio, manganese, cobalto, rame, ittrio, niobio, afnio, tungsteno, titanio, cromo, ferro, nichel, zinco, zirconio, molibdeno e tantalio, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche, nella misura in cui questi sono classificati come pericolosi;5. «stabilizzazione», i processi che modificano la pericolosità dei componenti dei rifiuti e trasformano i rifiuti pericolosi in rifiuti non pericolosi;6. «solidificazione», processi che influiscono esclusivamente sullo stato fisico dei rifiuti per mezzo di appositi additivi, senza modificare le proprietà chimiche dei rifiuti stessi;7. «rifiuto parzialmente stabilizzato», un rifiuto che contiene, dopo il processo di stabilizzazione, componenti pericolosi, che non sono stati completamente trasformati in componenti non pericolosi e che potrebbero essere rilasciati nell’ambiente nel breve, medio o lungo periodo.
VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE1. Valutazione delle caratteristiche di pericolo dei rifiutiNel valutare le caratteristiche di pericolo dei rifiuti, si applicano i criteri di cui all’Allegato III della Dir. n. 2008/98/CE. Per le caratteristiche di pericolo HP 4, HP 6 e HP 8, ai fini della valutazione si applicano i valori soglia per le singole sostanze come indicato nell’Allegato III della Dir. n. 2008/98/CE. Quando una sostanza è presente nei rifiuti in quantità inferiori al suo valore soglia, non viene presa in considerazione per il calcolo di una determinata soglia. Laddove una caratteristica di pericolo di un rifiuto è stata valutata sia mediante una prova che utilizzando le concentrazioni di sostanze pericolose come indicato nell’Allegato III della Dir. n. 2008/98/CE, prevalgono i risultati della prova.2. Classificazione di un rifiuto come pericolosoI rifiuti contrassegnati da un asterisco (*) nell’elenco di rifiuti sono considerati rifiuti pericolosi ai sensi della Dir. n. 2008/98/CE, a meno che non si applichi l’art. 20 di detta direttiva.Ai rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi, si applicano le seguenti disposizioni:— L’iscrizione di una voce nell’elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a «sostanze pericolose», è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all’Allegato III della Dir. n. 2008/98/CE. La valutazione della caratteristica di pericolo HP 9 «infettivo» deve essere effettuata conformemente alla legislazione pertinente o ai documenti di riferimento negli Stati membri.— Una caratteristica di pericolo può essere valutata utilizzando la concentrazione di sostanze nei rifiuti, come specificato nell’Allegato III della Dir. n. 2008/98/CE o, se non diversamente specificato nel regolamento (CE) n. 1272/2008, eseguendo una prova conformemente al regolamento (CE) n. 440/2008 o altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale, tenendo conto dell’art. 7 del regolamento (CE) n. 1272/2008 per quanto riguarda la sperimentazione animale e umana.— I rifiuti contenenti dibenzo-p-diossine e i dibenzofurani policlorurati (PCDD/PCDF), DDT (1,1,1-tricloro-2,2-bis(4-clorofenil)etano), clordano, esaclorocicloesani (compreso il lindano), dieldrin, endrin, eptacloro, esaclorobenzene, clordecone, aldrin, pentaclorobenzene, mirex, toxafene esabromobifenile e/o PCB in quantità superiori ai limiti di concentrazione di cui all’Allegato IV del regolamento (CE) n. 850/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio devono essere classificati come pericolosi.— I limiti di concentrazione di cui all’Allegato III della Dir. n. 2008/98/CE non sono applicabili alle leghe di metalli puri in forma massiva (non contaminati da sostanze pericolose). I residui di leghe sono considerati rifiuti pericolosi sono specificamente menzionati nel presente elenco e contrassegnati con un asterisco (*).— Se del caso, al momento di stabilire le caratteristiche di pericolo dei rifiuti si possono prendere in considerazione le seguenti note contenute nell’Allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008:— 1.1.3.1. Note relative all’identificazione, alla classificazione e all’etichettatura delle sostanze: note B, D, F, J, L, M, P, Q, R, e U.— 1.1.3.2. Note relative alla classificazione e all’etichettatura delle miscele: note 1, 2, 3 e 5.— Dopo la valutazione delle caratteristiche di pericolo di un tipo di rifiuti in base a questo metodo, si assegnerà l’adeguata voce di pericolosità o non pericolosità dall’elenco dei rifiuti.— Tutte le altre voci dell’elenco armonizzato di rifiuti sono considerate rifiuti non pericolosi.
ELENCO DEI RIFIUTII diversi tipi di rifiuti inclusi nell’elenco sono definiti specificatamente mediante il codice a sei cifre per ogni singolo rifiuto e i corrispondenti codici a quattro e a due cifre per i rispettivi capitoli. Di conseguenza, per identificare un rifiuto nell’elenco occorre procedere come segue:— Identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che terminano con le cifre 99. Occorre rilevare che è possibile che un determinato impianto o stabilimento debba classificare le proprie attività in capitoli diversi. Per esempio un costruttore di automobili può reperire i rifiuti che produce sia nel capitolo 12 (rifiuti dalla lavorazione e dal trattamento superficiale di metalli), che nel capitolo 11 (rifiuti inorganici contenenti metalli provenienti da trattamento e rivestimento di metalli) o ancora nel capitolo 08 (rifiuti da uso di rivestimenti), in funzione delle varie fasi della produzione.— Se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto.— Se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16.— Se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non specificati altrimenti) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività identificata nella prima fase.
INDICECapitoli dell’elenco01 Rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera o cava, nonché dal trattamento fisico o chimico di minerali02 Rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca, trattamento e preparazione di alimenti03 Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone04 Rifiuti della lavorazione di pelli e pellicce e dell’industria tessile05 Rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone06 Rifiuti dei processi chimici inorganici07 Rifiuti dei processi chimici organici08 Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso (PFFU) di rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), adesivi, sigillanti e inchiostri per stampa09 Rifiuti dell’industria fotografica10 Rifiuti provenienti da processi termici11 Rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale e dal rivestimento di metalli ed altri materiali; idrometallurgia non ferrosa12 Rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica13 Oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli commestibili, voci 05 e 12)14 Solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (tranne le voci 07 e 08)15 Rifiuti di imballaggio; assorbenti, stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi non specificati altrimenti16 Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco17 Rifiuti delle attività di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminati)18 Rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate (tranne i rifiuti di cucina e di ristorazione che non derivino direttamente da cure sanitarie)19 Rifiuti prodotti da impianti di gestione dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale20 Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziataN.d.R.: per l’elenco completo dei codici, si rinvia alla documentazione contenuta nel CD-Rom Allegato al presente volume.

I principi generali per la classificazione dei rifiuti

In primo luogo, la classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore che assegna ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella Decisione 2000/532/CE e quelle del Reg. (Ue) n. 1357/2014 per quanto riguarda le caratteristiche di pericolo (l’Allegato I non si può più applicare in quanto contiene disposizioni non conformi allo stesso Reg. n. 1357/2014/Ue). L’elenco dei rifiuti – dice l’art. 184, c. 5, pur riferendosi ancora all’Allegato D alla Parte Quarta del TUA, e non direttamente all’Elenco europeo dei rifiuti (Eer) di cui all’Allegato alla Dec. n. 2000/532/CE, come modificato dalla Dec. n. 2014/955/Ue – include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose.

L’Eer è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi: li si potrà considerare rifiuto solo se rientreranno nell’apposita definizione di cui all’art. 3, punto 1 della Dir. n. 2008/98/CE, ora recepita dall’art. 183, c. 1, lett. a), TUA. Ricapitolando, quindi, ai sensi dell’art. 184, c. 5:

  • § tenendo conto dell’origine, i rifiuti verranno distinti in urbani e speciali;
  • § tenendo conto della composizione, i rifiuti potranno essere classificati quali pericolosi o non pericolosi (sarà pericoloso il rifiuto con il codice CER pericoloso “assoluto”);
  • § tenendo conto “ove necessario” dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose, dovranno essere determinate attraverso apposite indagini le proprietà di pericolo effettivamente possedute dal rifiuto classificato con codici CER speculari (c.d. “voci a specchio”: uno pericoloso e uno non pericoloso), in modo da attribuirgli il CER corretto, facendo riferimento in questo caso non più alle caratteristiche di pericolo di cui all’Allegato I della Parte IV del TUA ma a quelle introdotte dal Reg. (Ue) n. 1357/2014. 

Il rifiuto “ambiguo” con codici CER speculari

Per poter stabilire la pericolosità o meno del rifiuto classificato con codici CER speculari (c.d. “voci a specchio”), uno pericoloso e uno non pericoloso, si devono determinare le proprietà di pericolo da questo possedute, attraverso lo svolgimento delle seguenti indagini:

a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto;

b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa Ue sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee e internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto;

c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante: comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le fasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.

Per questa seconda tipologia di rifiuti “ambigui” la pericolosità è subordinata a una condizione: tali rifiuti saranno classificati come pericolosi solo se le sostanze pericolose in essi contenute raggiungeranno determinate concentrazioni (ad es., percentuale in peso), tali da conferire loro una o più delle proprietà di cui al Reg. (Ue) n. 1357/2014. Il superamento della concentrazione limite potrà essere accertato solo a seguito di un’apposita analisi chimica, che sotto tale profilo rappresenta un onere posto a carico al produttore-detentore dei rifiuti. Il riferimento è a quei rifiuti pericolosi individuati nell’Elenco dalle c.d. “voci a specchio”.

Semplificando, dunque, tali rifiuti non sono sempre e comunque pericolosi ma lo “diventano” solo se talune sostanze in essi contenute raggiungono determinate concentrazioni. In pratica, nell’Elenco compaiono due voci (per l’appunto, le “voci a specchio”), l’una che indica un certo rifiuto pericoloso (indicato con l’asterisco “*” ed individuato grazie al riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, con la dicitura quale “contenente sostanze pericolose”, “contaminate da sostanze pericolose” o ancora “contenente metalli pesanti”: ad esempio, “02 01 08* rifiuti agrochimici contenenti sostanze pericolose”) e l’altra che indica il rifiuto non pericoloso (non ha l’asterisco e viene individuato come “diverso” da quello pericoloso: “02 01 09 rifiuti agrochimici diversi da quelli della voce 02 01 08”).

Applicazione del principio di precauzione

Una specifica regola, in applicazione del principio di precauzione, è quella in base alla quale è necessario fare riferimento ai composti peggiori nel caso in cui, a seguito delle rilevazioni delle analisi chimiche, non siano noti i composti specifici del rifiuto: qualora le sostanze presenti in un rifiuto non siano note o non siano determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possano essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.

Le nuove regole UE in tema di sostanze pericolose, di classificazione dei rifiuti e di POP (Inquinanti Organici Persistenti)

Di recente, a livello comunitario, l’entrata in vigore di nuove regole sulla classificazione delle sostanze pericolose ha richiesto anche la modifica delle norme sulla classificazione dei rifiuti, con effetti sugli obblighi che gravano in tale contesto su produttori e gestori di rifiuti, interessando sia il momento in cui il rifiuto deve essere classificato sia le fasi della gestione dei rifiuti (deposito, trasporto, trattamento e conferimento in discarica).

Una piccola rivoluzione normativa che discende, in primo luogo, dall’esigenza di allineare i criteri di classificazione dei rifiuti a quelli contenuti nel Reg. (CE) n. 1272/2008 sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle miscele e delle sostanze pericolose (c.d. regolamento “CLP”, da “Classification, Labelling and Packaging”), che, dal 1° giugno 2015, è divenuto la sola normativa vigente per la classificazione e l’etichettatura delle sostanze chimiche e delle miscele: in tale data, infatti, ha avuto termine la fase transitoria che dal 20 gennaio 2009 ha permesso alle imprese di continuare ad avvalersi della precedente legislazione (in particolare, della Dir. n. 67/548/CEE sulle sostanze pericolose e della Dir. n. 1999/45/CE sui preparati pericolosi).

Una delle novità del Regolamento CLP consiste proprio nell’introduzione di un metodo di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche che fa riferimento al sistema mondiale armonizzato delle Nazioni Unite (GHS) e che, in particolare, ha modificato i c.d. “codici H” che definiscono le caratteristiche di pericolo dei rifiuti sostituendoli con i nuovi codici identificati con le lettere HP (hazardous property).

Dalla necessità di applicare le nuove disposizioni introdotte dal Regolamento CLP e, a cascata, dal Reg. (UE) n. 1357/2014 sono discesi i seguenti effetti pratici:

  • § dinanzi a rifiuti caratterizzati da coppie di codici CER “a specchio” (l’uno pericoloso e l’altro no), il produttore ha dovuto verificare nuovamente la scelta del CER corretto, alla luce dei nuovi criteri di assegnazione dei codici di pericolo (HP) e sulla base della presenza di sostanze pericolose nel rifiuto;
  • § dinanzi a rifiuti identificati come “pericolosi” con codice CER “assoluto”, il produttore ha dovuto applicare i nuovi codici di pericolo HP, sempre sulla base della presenza di sostanze pericolose nel rifiuto.

L’applicazione delle nuove disposizioni del Regolamento CLP ha richiesto una nuova etichettatura di tantissimi prodotti prima della loro immissione sul mercato (si va dalle vernici ai detergenti sino alle miscele industriali).

Banca dati delle sostanze vietate/in restrizioneIn tema di sostanze vietate o “in restrizione”, è possibile consultare un’apposita Banca dati curata dal MATTM: http://www.dsa.minambiente.it/restrizionisostanze/ElencoSostanze_list.php.Tale banca dati raggruppa, in modo omogeneo e sintetico, le informazioni di base sui divieti, le restrizioni e gli obblighi di autorizzazione stabiliti a livello europeo per le sostanze caratterizzate dalle seguenti indicazioni di pericolo:§ sostanze classificate Cancerogene, Mutagene e tossiche per la Riproduzione (CMR),§ sostanze Persistenti, Bioaccumulabili e Tossiche (PBT),§ sostanze molto Persistenti e molto Bioaccumulabili (vPvB),§ inquinanti organici persistenti (POP) e§ sostanze lesive per lo strato di ozono.Non fanno parte di questo elenco le sostanze classificate unicamente come infiammabili, facilmente infiammabili ed altamente infiammabili.La Banca dati contiene le disposizioni cautelative (restrizioni, divieti, etc.) adottate ai sensi del Regolamento (CE) n. 1907/2006 (regolamento REACH), del Regolamento (CE) n. 850/2004 sugli inquinanti organici persistenti (“POP”) e del Regolamento (CE) n. 1005/2009 sulle sostanze che riducono lo strato dell’ozono ed è concepita come strumento per agevolare la consultazione e il reperimento delle informazioni relative a 1.211 sostanze (agg.to ottobre 2015) soggette a divieti, restrizioni e obblighi di autorizzazione e viene aggiornata in base ai successivi adeguamenti degli allegati ai citati regolamenti.

Questi sono gli altri provvedimenti in tema di classificazione dei rifiuti e Inquinanti Organici Persistenti (POP) emanati di recente:

—  il Reg. (UE) n. 1357/2014, che ha modificato l’Allegato III (elenca le caratteristiche di pericolo per i rifiuti) alla direttiva quadro sui rifiuti n. 2008/98/CE,

—  la Dec. n. 2014/955/UE, che ha modificato la Dec. n. 2000/532/CE che contiene l’elenco dei CER, e

—  il Reg. (Ue) n. 1342/2014, che ha modificato il Reg. (CE) n. 850/04 in tema di POP (Inquinanti Organici Persistenti), introducendo nuove sostanze e nuovi limiti all’elenco recato dal Regolamento.

Reg. (UE) 1357/2014: dal 1° giugno 2015, nuove caratteristiche di pericolo per i rifiutiL’Allegato III della direttiva quadro 2008/98/CE elenca le caratteristiche di pericolo per i rifiuti (codici H). Tale Allegato è stato sostituito dal Reg. (UE) n. 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014, al fine di:§ allineare le definizioni delle caratteristiche di pericolo al regolamento (CE) n. 1272/2008 (“regolamento CLP”, da “Classification, Labelling and Packaging”, sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle miscele e delle sostanze pericolose),§ sostituire i riferimenti alla Dir. n. 67/548/CEE e alla Dir. n. 1999/45/CE con i riferimenti al Reg. (CE) n. 1272/2008 (queste due direttive sono abrogate dal “regolamento CLP”, con effetto dal 1° giugno 2015).Il Reg. (UE) n. 1357/2014 si applica direttamente in ciascuno degli Stati membri a decorrere dal 1° giugno 2015, contestualmente alla piena operatività del “regolamento CLP”: da ciò discende la necessità, nell’ordinamento italiano, di disapplicare l’Allegato I alla Parte Quarta del TUA.Le nuove caratteristiche di pericolo da attribuire ai rifiuti a partire dal 1° giugno 2015 sono state rinominate con le lettere HP (Hazardous Property, al posto della precedente sigla H), per evitare la possibile confusione con i codici delle indicazioni di pericolo di cui al Reg. (CE) n. 1272/2008:- HP1 esplosivo;- HP2 comburente;- HP3 infiammabile;- HP4 irritante – irritazione cutanea e lesioni oculari;- HP5 tossicità specifica per organi bersaglio (STOT)/tossicità in caso di aspirazione;- HP6 tossicità acuta;- HP7 cancerogeno;- HP8 corrosivo;- HP9 infettivo;- HP10 tossico per la riproduzione;- HP11 mutageno;- HP12 liberazione di gas a tossicità acuta;- HP13 sensibilizzante;- HP14 ecotossico;- HP15 “rifiuto che non possiede direttamente una delle caratteristiche di pericolo summenzionate ma può manifestarla successivamente”.Decisione 2014/955/UELa decisione 2014/955/UE ha modificato, in modo limitato, la Dec. n. 2000/532/CE che contiene l’elenco europeo dei CER e, in particolare:- ha soppresso gli artt. 2 e 3 della Dec. n. 2000/532/CE;- ha sostituito l’Allegato della Dec. n. 2000/532/CE, al fine di adeguare, da un lato, le caratteristiche di pericolo da H 3 a H 8, H 10 e H 11 al progresso tecnico e scientifico e alla nuova legislazione sulle sostanze chimiche, e dall’altro lato, la terminologia con quella utilizzata nel Reg. (CE) n. 1272/2008.La Dec. n. 2014/955/UE si applica dal 1° giugno 2015.Il Regolamento (UE) n. 1342/2014 (POPs)Il Regolamento (UE) n. 1342/2014 del 17 dicembre 2014 ha stabilito nuovi valori limite di concentrazione massima per gli inquinanti organici persistenti nei rifiuti (POPs), modificando all’uopo gli Allegati IV e V al Reg. (CE) n. 850/2004: a quest’ultimo si deve il recepimento nel diritto dell’Unione degli impegni sanciti dalla Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (approvata con decisione 2006/507/CE), nonché dal Protocollo sugli inquinanti organici persistenti della Convenzione del 1979 sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza (approvato con decisione 2004/259/CE).L’obiettivo della Convenzione di Stoccolma è, per l’appunto, l’eliminazione e la diminuzione dell’uso di alcune sostanze nocive per la salute umana e per l’ambiente definite inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants, POP o POPs). I POP sono composti chimici con proprietà tossiche che si propagano nell’aria, nell’acqua o nel terreno e, a causa della loro scarsa degradabilità, risiedono nell’ambiente per lungo tempo. La Convenzione riguarda 12 inquinanti principali, la c.d. “sporca dozzina” (aldrin, clordano, dicloro difenil tricloroetano, dieldrin, endrin, eptacloro, mirex, toxafene, esaclorofene) e tre intere classi di composti, tra cui i PCB e la c.d. “diosssina”.Dato che nel corso degli anni sono state inserite nuove sostanze pericolose, la Commissione ha ritenuto opportuno riformulare gli Allegati IV e V al Regolamento (CE) n. 850/2004: le modifiche si applicano a decorrere dal 18 giugno 2015.La riformulazione dei due allegati si riflette sulla gestione dei rifiuti, dato che il regolamento (UE) 1342/2014 non solo ha inserito nell’Allegato IV nuovi POP che in precedenza non erano contemplati, ma ha anche individuato nuovi valori limite di concentrazione per Pop già inclusi. Con altre modifiche viene sostituita la parte 2 dell’Allegato V, con un tabella che indica il regime in deroga per i rifiuti contenenti inquinanti inferiori ai limiti ex Allegato IV. L’inclusione delle nuove sostanze tra i Pop comporta che dovranno essere classificati come pericolosi i rifiuti che li contengono in quantità superiori ai limiti di concentrazione ex Allegato IV del regolamento 850/2004.

Rifiuti militari e declassificazione dei rifiuti

Completiamo la lettura dell’art. 184 del TUA passando in rassegna talune disposizioni introdotte dopo il 2006. Innanzitutto, il D.Lgs. n. 4/2008 ha inserito nell’art. 184 il c. 5-bis (spostando tale previsione dall’art. 185 “Esclusioni dalla disciplina sui rifiuti”) dedicato ai “rifiuti militari”, i quali per l’appunto sono intesi come rifiuti disciplinati dalla Parte Quarta del TUA ma secondo una procedura speciale che è stata dettata dal D.M. 22 ottobre 2009. Tale c. 5-bis è stato successivamente integrato ad opera del c. 2 dell’art. 35 del c.d “Decreto Crescita” (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134), previa aggiunta, in fine di un ulteriore periodo. Il nuovo periodo aggiunto al c. 5-bis dell’art. 184, D.Lgs. n. 152/2006, in buona sostanza, prevede che – a prescindere da quanto già dettato dal TUA – vengano stabiliti per decreto i criteri idonei a individuare i valori dei livelli di contaminazione delle matrici ambientali da applicare ai siti militari o a loro porzioni (si pensi ai poligoni militari) che devono essere superati per far scattare la “caratterizzazione” del sito e la valutazione del rischio di contaminazione (c.d. “analisi del rischio sito specifica”) per valutare la necessità di bonificare o meno tali siti. 

Proseguendo, il D.Lgs. n. 205/2010, nel modificare l’art. 184, ha introdotto due nuovi commi che prevedono che:

—  la declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non possa essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto (c. 5-ter).

—  l’obbligo di etichettatura dei rifiuti pericolosi di cui all’art. 193, TUA e l’obbligo di tenuta dei registri di cui all’art. 190, TUA non si applicano alle frazioni separate di rifiuti pericolosi prodotti da nuclei domestici fino a che siano accettate per la raccolta, lo smaltimento o il recupero da un ente o un’impresa che abbiano ottenuto l’autorizzazione o siano registrate in conformità agli artt. 208, 212, 214 e 216, TUA.

Il divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi

L’art. 187, TUA, è dedicato al divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi, più volte modificato nel corso del tempo.

I precetti dettati dalla norma sono molto chiari: 

—  è vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità;

—           è vietato miscelare rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi;

—           la miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.

Il c. 2 dell’art. 187 enumera i casi in cui – in deroga al c. 1 – può essere autorizzata, ai sensi degli artt. 208, 209 e 211, TUA, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, a patto che:

a)   siano rispettate le condizioni di cui all’art. 177, c. 4 (cioè, che non vi sia pericolo per la salute dell’uomo e non vi sia pregiudizio per l’ambiente alle condizioni ivi indicate), e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto;

b)   l’operazione di miscelazione venga effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli artt. 208 (Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti), 209 (Rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale) e 211 (Autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione), TUA;

c)   l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’art. 183, c. 1, lett. nn) [si tratta delle c.d. “MTD”, le “migliori tecniche disponibili” definite dagli artt. 2 e 29-septies, D.Lgs. n. 128/2010].

Il “DL Competitività” (segnatamente, l’art. 14, c. 8-quater, del D.L. n. 91/2014, conv., con modif., dalla Legge n. 116/2014) consente agli esercenti di impianti di recupero o di smaltimento di rifiuti che prevedono la miscelazione di rifiuti speciali, permessa ai sensi dell’art. 187 del TUA e dell’Allegato G alla Parte Quarta del TUA, nei testi vigenti prima della data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 205/2010, di continuare ad operare la miscelazione secondo tali modalità fino alla revisione delle medesime autorizzazioni (art. 187, c. 2-bis). Dalla violazione del divieto di miscelazione discende l’applicabilità di sanzioni penali, secondo quanto disposto dal c. 3 dell’art. 187, il quale:

1)   da un lato, rinvia all’applicazione delle sanzioni specifiche ed in particolare di quelle di cui all’art. 256, c. 5, e 

2)   dall’altro, prevede espressamente – come sanzione accessoria, quindi – che chiunque violi il divieto di miscelazione sia obbligato a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati, “qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile” (locuzione forse troppo generica che, si teme, potrebbe consentire di sfuggire all’adempimento dell’obbligo) e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 177, c. 4.

Le miscelazioni non vietate in base all’art. 187 non devono essere autorizzate e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli artt. 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse o ulteriori rispetto a quelle previste per legge (nuovo c. 3-bisdell’art. 187).

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